Condividiamo la storia che il nostro socio Domenico ha pubblicato sulla nostra pagina facebook: mio padre Giuseppe Alvisi
Mio padre Alvisi Giuseppe era nato il 28 gennaio 1892 a Casola Valsenio, piccolo paese romagnolo a pochi chilometri dal confine con la Toscana. Era figlio di Domenico Alvisi, possidente, come venivano chiamati a quei tempi i proprietari terrieri. Mio nonno, infatti, possedeva nove poderi. Terminata la quarta, ultima classe delle elementari del tempo venne inviato in collegio a Imola dove frequentò l’Istituto di Agraria uscendone, nel 1910, con il diploma di Perito Agrario.
Il 7 settembre 1912 fu richiamato per il servizio di leva ed aggregato il 2° Reggimento Genio a Bologna dove ebbe modo di partecipare a dei corsi di telefonia e telefonia. Il 14 aprile 1914 fu congedato. Il 1° Gennaio 1915 venne nuovamente richiamo prestando servizio presso il deposito del 2° Reggimento Genio a Bologna. Credo che nel 1915 e parte del 1916 abbia fatto servizio nelle retrovie. In seguito, anche per le particolarità del Genio, non ha partecipato a combattimenti in prima linea. Ha raggiunto il grado di sergente solo a pochi giorni dalla fine della guerra. Lui diceva che, pur avendo un titolo di studio, era riuscito a non fare il corso per divenire ufficiale; non si sentiva assolutamente in grado di comandare. La sua compagnia di Genio Zappatori ha partecipato a diverse opere ed in particolare alla ricostruzione della strada che da Misurina porta al Monte Piana.
Non raccontava molto della sua esperienza in guerra. Solo un episodio lo ha raccontato diverse volte: durante la ritirata di Caporetto era stato designato a portare in salvo, con un carretto e un cavallo, i documenti della sua compagnia. Ad un posto di blocco fu fermato dai Carabinieri. Controllato i documenti, che erano in regola, gli fu ordinato di scendere e di seguire due carabinieri dietro i ruderi di una chiesa, dove vide quattro cinque soldati appoggiati contro un muro e altri quattro o cinque di fronte. Entrambi i gruppi avevano il volto stravolto ed impaurito. A mio padre dettero in mano un fucile e gli ordinarono di unirsi al secondo gruppo per fare parte del plotone di esecuzione. Mio padre si sentì morire, non aveva mai ucciso nessuno ed anche durante la guerra aveva sempre cercato il modo di non essere obbligato a sparare. La presenza, alle spalle, di due carabinieri era un monito. Fortunatamente, come succede nei film, a pochi attimi dalla esecuzione giunsero i carabinieri addetti al plotone di esecuzione e gli esecutori improvvisati furono liberati dall’ingrato compito. Mio padre mi diceva che quello era stato l’episodio più tragico del periodo bellico. Per anni aveva incubi notturni e rivedeva gli occhi sbarrati di quei poveri disgraziati pronti per la fucilazione.
Altro episodio non raccontato da lui ma da un suo amico, compagno in armi. Una teleferica si era bloccata a circa venti metri dalla partenza e mio padre si è arrampicato lungo il cavo e l’ha sbloccata. In questa occasione ha messo a frutto l’intensa attività sportiva fatta in collegio come ginnasta.
Come si può vedere lui, come tanti, ha cercato di rimanere vivo e tornare a casa. Non ha mai parlato molto della Grande e Guerra e le poche volte non si è mai proposto in prima persona. Ricordava con tristezza i gravi errori degli alti comandi e le inutili carneficine.
Poi ottantasette mesi di militare credo che gli abbiano pesato parecchio.
E’ morto nel 1969 a 77 anni.