Mario Furoni e Luigi Rava, i reduci emiliano-romagnoli più longevi

 

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Lazzaro Ponticelli (1897-2008) italo-francese, morto alla soglia dei 111 anni

Oggi giorno, è lapalissiano, non ci sono più reduci della Grande Guerra viventi. Al 90esimo anniversario della fine del conflitto, secondo un’indagine svolta a fine ottobre 2008 erano sette i reduci della prima guerra mondiale ancora in vita, in tutto il mondo. Tra loro c’era anche una donna, Gladys Power, canadese, che nel 2008 aveva 109 anni:
GRAN BRETAGNA – Henry Allingham, 111 anni, in servizio nella marina e nell’aeronautica, Bill Stone, 106 anni, anche lui in marina e Harry Patch, 109 anni, della fanteria.
AUSTRALIA – Claude Choules, inglese di nascita, oggi ha 106 anni e vive in Australia. Combatté nelle file della Royal Navy.
CANADA – Gladys Power, 109 anni, unica veterana della Grande Guerra. Prestò servizio nelle forze ausiliarie femminili dell’areonautica canadese. Oltre a lei, in Canada c’è anche un altro veterano, John Babcock, 107 anni, arruolato in fanteria.
STATI UNITI – Frank Buckles, 107 anni, mentì sulla sua età per essere arruolato e finì a prestare servizio come autista delle ambulanze in Gran Bretagna e in Francia In Australia ci sono altri due reduci, ma sebbene si fossero arruolati, non partirono mai per il fronte perché la guerra finì prima che potessero prendere parte alle operazioni militari.
Fra i più noti ultracentenari italiani reduci della Grande guerra, nel 2008, erano ancora

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Delfino Borroni, di Turago Bordone, in provincia di Pavia, reduce di 110 anni della Grande Guerra

viventi il famosissimo Lazzaro Ponticelli (1897), originario del piacentino, emigrato in Francia e reduce sia del fronte occidentale (della legione garibaldina che nel 1914 alla guida dei fratelli Garibaldi fu utilizzata in combattimento sul fronte francese), Francesco Domenico Chiarello (1898), calabrese, e Delfino Borroni (1898), pavese, ultimo reduce italiano della Grande Guerra, bersagliere: rispettivamente mancati il 12 marzo, 27 giugno e 26 ottobre 2008.
Fino a pochi anni prima, ovviamente, erano presenti un’altra manciata di reduci ultracentenari.
Grazie al lavoro di alcuni ricercatori che li scovarono nel loro anonimato e li intervistarono, oggi, sappiamo qualcosa di più su questi “ultimissimi” testimoni oculari.

Più che doveroso citare i testi di riferimento per questo breve articolo. Precursore di questo tipo di libri fu senz’altro Valido Capodarca con il suo “Ultime voci dalla Grande Guerra” recentemente ripubblicato. Sulla stessa lunghezza d’onda anche “Era come a mietere” con le interviste ai reduci di San Giovanni in Persiceto realizzate da Maria Resca (nostra socia) e Paolo Morisi. Entrambi questi libri, però, contengono interviste realizzate negli anni ‘80, quando, tutto sommato, di reduci della Grande Guerra ce n’erano ancora abbastanza da poter realizzare libri solo con interviste a persone di un’unica area geografica. Già ben più difficili furono le interviste realizzate da Nicola Bultrini e Maurizio Casarola per “Gli Ultimi”, libro del 2005. Furono 26 i reduci intervistati direttamente (più altri 10 che gli autori non riuscirono a raggiungere o che non furono in grado di raccontare nulla date ovvie ragioni di salute. Sono invece 26 le interviste raccolte da Alessandro Vanni e Katia Pari nel loro “Viaggio nella memoria”. Molte interviste sono agli stessi, diversi sono i nomi ricorrenti, ma molte anche le novità e le differenze fra i due libri: personaggi raggiunti, interviste realizzate in momenti diversi… ecc..
E’ confrontando questi ultimi due lavori che troviamo che due fra i pochi reduci ancora viventi nel 2005 erano emiliano romagnoli (oltre al giù citato Lazzaro Ponticelli, piacentino, italo francese, per il quale basta una mera ricerca su Google per raccogliere informazioni a sufficienza e sul quale sono anche stati scritti libri prevalentemente in francese).

 

Classe 1899, scomparso il 13 gennaio 2006 a 106 anni (avrebbe compiuto i 107 il 23 novembre) era Mario Furoni, originario di Fossoli di Carpi in provincia di Modena. Abitava a San Cesario sul Panaro col figlio Romano, titolare di un’impresa meccanica. Il ragazzo del ‘99 Furoni venne arruolato il 18 giugno 1917 dapprima nel 37° reggimento fanteria della brigata Ravenna per poi passare effettivo nel 99° reggimento fanteria della brigata Treviso e combatté in Trentino. Qui fu addirittura preso prigioniero dagli austriaci ma riuscì a fuggire con un colpo di fortuna e a tornare al reparto. Fu richiamato anche durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipandovi però solo per alcuni mesi nella milizia territoriale. Per il resto della sua vita Furoni ha fatto il bracciante agricolo lavorando anche nelle risaie di Carpi. Era solito ripetere a chi lo andava a trovare, ormai centenario, a parlare delle sue vicende di guerra: “A divintir vecc, al n’è menga al mistèer ed tott.” Sul libro di Vanni e Pari la foto di Furoni è davvero piccola e quasi inutilizzabile, ma è presente una foto del foglio matricolare che conferma in toto quanto raccontato dall’ultracentenario.

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Luigi Rava, classe 1897, fotografato nel 2005 dai suoi intervistatori Bultrini e Casarola a 108 anni

Romagnolo originario di Ravenna era invece Luigi Rava. Nato a Sant’Alberto il 9 settembre 1897. Per un certo periodo di tempo, Rava è stato il Cavalieri di Vittorio Veneto vivente più anziano. La sua intervista appare nel libro di Bultrini e Casarola che lo scovarono ospite dell’hotel di proprietà del figlio, albergatore di Marina di Ravenna.
Figlio di agricoltori, ebbe la fortuna di avere un buon grado di istruzione che gli permise in trincea di essere d’aiuto ai commilitoni analfabeti nello scrivere e soprattutto nel leggere le lettere da e per casa. Venne arruolato a Firenze nell’84° reggimento fanteria nel 1916. Dopo aver completato l’addestramento ebbe il suo battesimo del fuco sull’Isonzo, probabilmente durante l’undicesima battaglia, quella nota come la battaglia della Bainsizza. Fu probabilmente proprio sulla Bainsizza (dove era stanziata la brigata Venezia, fra i monte Na Kobil e l’abitato di Madoni) che avvenne uno degli episodi cardine della sua esperienza di guerra. Un episodio e un ricordo che lo tormentò fino alla fine dei suoi giorni, tornandogli spesso in mente, rivivendolo in sogno, facendolo svegliare di notte di soprassalto urlando, anche da molto anziano. Era con due compagni lanciato all’assalto di un fortino apparentemente vuoto ma sotto il tiro dei cecchini austriaci. Appiattati in una buca, i tre decisero di tirare a sorte sull’ordine di uscita dal loro riparo. Rava fu estratto per terzo. Il primo fu colpito a morte quando oramai aveva raggiunto il forte, mentre il secondo poté fare solo pochi metri prima di essere a sua volta fulminato. Rava allora prese il tascapane e lo lanciò fuori dalla buca per eludere il nemico che, distratto da questo gesto, non ebbe tempo per prendere la mira su di lui che così riuscì a raggiungere il fortino sano e salvo. Anche in un’altra occasione Rava fu particolarmente fortunato. Scontento del rancio un giorno Rava si imbatté in un albero carico di ciliegie. Ne mangiò talmente tante da star male e venir ricoverato. Quella notte stessa la sua

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Foglio matricolare Luigi Rava

compagnia venne decimata da un tremendo bombardamento. Durante la ritirata di Caporetto la brigata Venezia fu particolarmente provata dai combattimenti. Rava rimase sempre insieme ad altri 17 compagni e riuscì, fra la marea degli sbandati, a raggiungere la linea del Piave. Nel gennaio 1918 fu cambiato di reparto (stando al suo foglio matricolare da noi recuperato) e destinato al 163° reggimento della brigata Lucca. Con il 163° Rava combatté sul Montello. Fu qui che gli capitò spesso di vedere Francesco Baracca in volo, osannato da lui e dai commilitoni che da terra facevano un tifo indemoniato per il loro beniamino. Una volta, addirittura, dice Rava di averlo visto passare sotto le arcate di un ponte pur di seminare i suoi inseguitori. Fra i suoi ricordi c’è anche quello di un prigioniero austriaco di origine ucraina, alquanto spaurito e del tutto demotivato dal combattere, quasi contento di essere caduto prigioniero e di aver così finito la sua guerra. Tornato dal servizio militare nel 1920, Rava si sposò ed ebbe quattro figli che lo accudirono amorevolmente fino alla sua scomparsa.
Rava tornò spesso sui luoghi della sua guerra, provando sempre grande emozione per questi suoi pellegrinaggi. Morì a Ravenna il 19 settembre 2005, dieci giorni dopo il suo 108° compleanno. A darcene notizia è il libro di Vanni e Pari che nel capitolo introduttivo riportano il loro accurato censimento dei cavalieri di Vittorio Veneto fra il 2004 e il 2008.
Un ricordo di due soldati semplici, due uomini attraverso le loro storie. E con il loro ricordo, anche dei buoni consigli di lettura per ripercorrere le esperienze di guerra di questi uomini ascoltandole dalle loro stesse voci. Un’opera meritoria quella di questi ricercatori che danno così grande importanza alla trasmissione orale (per quanto l’età e “l’inquinamento” dei ricordi possa aver influito sui racconti). Quattro libri da non perdere che non possono mancare nella libreria di un appassionato e di uno studioso del primo conflitto mondiale.

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