Storie di famiglia: mio nonno Stefano Suzzi

di Paola Fantazzini.

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Il 22 aprile del 2016 salimmo tutti a San Luca, come fanno nelle occasioni importanti i bolognesi, un po’ per tradizione, un po’ per fede. Eravamo parecchi, in tutto tre generazioni, discendenti di quel giovane uomo caduto a 25 anni a Monfalcone, il 22 aprile del 1916, vigilia di Pasqua, proprio cento anni prima.
Non ho mai conosciuto mio nonno, Stefano Suzzi; di lui so veramente poco. So che era nato ad Imola il 26 dicembre 1890 perché questa data viene riportata nei documenti del Ministero della Guerra. Conosco inoltre quei pochi episodi della sua breve vita di cui ci parlava e riparlava sua figlia, mia madre. Si era sposato da pochi anni e la sua bambina aveva poco più di due anni quando dovette partire per il fronte. La sua giovane moglie aspettava un bambino. Di questo bambino e di un episodio importante per le loro vite mia madre parlava spesso a mia sorella e a me. Il bambino nacque il 14 settembre del 2015. Appena le forze glielo consentirono, mia nonna avviluppò quel tenero corpicino in una coperta ed intraprese il viaggio in treno per fermarsi ad una stazione di cui non ho mai saputo il nome. L’accordo era che la giovane donna ed il povero soldato si sarebbero incontrati in quella stazione e lui avrebbe così potuto conoscere suo figlio. Ancora, chiudendo gli occhi, rivedo la scena come ce la raccontava mia madre, e come me la sono immaginata, con le stesse emozioni che si provano quando guardi un film che ti prende al punto da trattenere a stento le lacrime. Una fredda serata, un vento gelido che sferza quelle giovani vite, il vapore di una locomotiva che oscura la vista. Tutto in bianco e nero. Lei offre quel povero fagottino al soldato, che lo accoglie amorevolmente tra le sue braccia robuste. Il silenzio domina la scena mentre il soldato si sfila lentamente la sciarpa, con quella avvolge il corpicino bisbigliando, con il groppo alla gola “questo è il solo regalo che ti potrà mai fare tuo padre”.

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L’ambientazione della scena è tutta frutto della mia fantasia, ma quelle parole no. Quelle parole sono reali, rimasero scolpite nella mente dalla giovane donna, che così le ha raccontate alla figlia e la figlia le ha tramandate a noi. Una volta chiesi a mia madre dove fosse finita quella sciarpa. Le tarme, mi rispose gettandomi nello sconforto, le tarme l‘hanno mangiata e dovemmo buttarla. Questo mi diede una misura del tempo trascorso, decenni in cui la vita era continuata e sarebbe continuata, le generazioni si sarebbero succedute, gli oggetti materiali sarebbero andati persi, ma il ricordo no. Il ricordo per quel soldato non avrebbe subito la stessa sorte. Mi rattristava e mi rattrista ancora il pensiero di quel soldato che era consapevole del fatto che non avrebbe mai più rivisto quel figliolo, che la guerra lo avrebbe sottratto alla dolcissima moglie ed ai suoi due bambini. Probabilmente, nelle giornate passate in trincea aspettando la morte si struggeva al pensiero che la Silvia, la giovane moglie, avrebbe dovuto da sola mandare avanti la famiglia, allevare i bambini, e costruire per loro un futuro migliore. Sapeva che non avrebbe avuto scampo. Lui, Stefano, era nato ad Imola e come tutti i suoi amici di Imola era stato mandato in prima linea, dove la guerra mieteva inesorabilmente le loro vite. Forse vennero mandati in prima linea per punire una città che aveva vissuto nel giugno del 1914 le giornate della settimana rossa? Non lo so, so solo che nessuno di loro tornò alle proprie case.

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Ma la storia del nonno Stefano non si conclude qui ed anzi è da qui che comincia l’episodio che ci ha sempre fatto ricordare il nonno come un eroe, il cui gesto generoso ha costituito un esempio di vita ed un filo rosso che ha collegato le quattro generazioni che si sono succedute.
Il nonno era alto. Grazie al suo fisico robusto gli era stato affidata la funzione di porta-feriti. Quel giorno disgraziato del 22 aprile 1916 fu ordinata una incursione sotto il fuoco nemico. Un soldato venne colpito fuori dalla trincea. “Stefano, Stefano vieni a prendermi” chiamava ed implorava a gran voce. Sappiamo, perché così raccontò il cappellano militare, che Stefano si mise allora ad urlare che aveva due bambini, che non poteva morire che non….. Il richiamo dell’amico sofferente fu più forte della paura e del pensiero della sua famiglia. Di impeto si buttò fuori dalla trincea ed egli stesso rimase ucciso.
“Costante, mirabile esempio di attività, fermezza e coraggio, noncurante del pericolo attraversava una zona intensamente battuta dal fuoco nemico, per trarre in salvo un compagno gravemente ferito, ma nel compiere l’atto generoso cadeva egli stesso colpito a morte”.

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Così recita la motivazione con cui gli venne conferita la medaglia d’argento al valor militare. Solo la medaglia rimase alla Silvia ed ai due bambini, oltre, bisogna obiettivamente ricordarlo, al soprassoldo di “Lire Duecentocinquanta annue”, ma a noi è rimasto molto di più: l’esempio di come ci si deve comportare nella vita. Il nonno non avrebbe potuto darci di più, neppure se fosse vissuto cent’anni. Quella sciarpa è il simbolo del dono che ha fatto a tutti noi. Il nonno è per noi una figura eroica, imponente, ma impalpabile. Tanto impalpabile che la moglie, i figli ed i nipoti non hanno potuto avere neppure il conforto di una tomba su cui deporre fiori. La sua salma, tumulata a Monfalcone (vicino alla grande fabbrica Adria Werke), come attesta l’Atto di Morte, venne esumata al termine della guerra e probabilmente traslata tra gli “Ignoti” nel Sacrario Militare di Redipuglia. “Per carenza di elementi idonei ad un riconoscimento certo”, si legge nel documento che mi venne spedito qualche tempo fa, dietro mia richiesta dal Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti del Ministero della Difesa. “Le sia di conforto sapere” conclude il documento “che mai potrà venire meno la riconoscenza e la memoria verso Chi ha donato la vita per la Patria”. Fino a che la mia mamma è stata in vita e ne ha avuto le forze, ogni 4 novembre ha posato un mazzolino di fiori bianco, rosso e verde sotto quella lapide nella Basilica di Santo Stefano in cui compare il nome Suzzi Stefano, soldato.

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Tutte le immagini e foto di questo articolo sono di proprietà esclusiva della famiglia Fantazzini che se ne riserva ogni diritto

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