Storie di famiglia: il fratello di mia bisnonna, il soldato Aldo Bruni

di Andrea Monte.

Aldo Bruni Soldato
Il caporale Aldo Bruni in una tipica foto in posa prima di partire per la linea del fuoco

La sterrata sale stretta e piena di buche, tagliando i ripidi pendii del Col del Rosso. Talmente ripidi che mia moglie ha paura a guardare dal finestrino della 500 che abbiamo noleggiato a Venezia.
Saliamo sotto un cielo da temporale di un pomeriggio estivo, che alterna nubi cariche di pioggia ad improvvisi squarci di sole.
Ci accompagnano le risate impertinenti dei nostri bambini, che canzonano la madre per questa immotivata paura del vuoto, ed il loro padre che guida con quel buffo cappello da alpino in testa.
Nonostante tutto fa caldo, e prego dentro di me che il vento ci sia propizio, e che quel temporale che si vede a valle ci giri attorno.
Esattamente cento anni fa, tra colpi di artiglieria, raffiche di mitragliatrici ed una nube densa di paura e morte, saliva questo pendio il Caporale Aldo Bruni.
Aveva 26 anni, e tanta voglia di vivere.
Morì poche ore dopo, ucciso in combattimento con le truppe austriache a Col del Rosso, come recita il certificato di morte che fu stilato a battaglia finita dal Capitano medico del Reggimento.
Certificato Morte Aldo Bruni - 1

Ho scovato questo certificato quasi per caso, durante una ricerca distratta su un sito di
genealogia che raccoglie archivi digitali delle anagrafi di vari comuni italiani. Quello che più mi ha affascinato, al di là delle scarne e asettiche informazioni, sono le firme dei due testimoni. La prima, dell’aspirante Medico Vidoni Ottavio, è probabilmente quella di chi ha riempito il formulario: la calligrafia è la stessa, probabilmente un neolaureato in medicina, da poco al fronte visto il grado da aspirante. Un dottorino, avrebbe detto la Zia Amelia, magari con gli occhiali tondi e la montatura d’oro.

Certificato Morte Aldo Bruni - 2
C’era un disperato bisogno di Ufficiali inferiori al fronte, visto che morivano come mosche nel calderone delle trincee, e quindi funzionava così: pochi mesi di infarinatura militare in uno di quei “corsi di corsa’ che in tempo di guerra fornivano a getto continuo ufficiali di complemento, e poi via al fronte, a comandare plotoni di contadini, combattere e molto spesso morire per la Patria.
Erano ragazzi, usciti direttamente dai banchi dei licei e delle università del Regno per indossare la divisa di panno ed il filetto da aspirante. La seconda firma, quella del soldato Palmeroni Augusto, è quella di un ragazzo con la calligrafia infantile, che ricorda quella di un bambino ai primi anni di scuola elementare. Probabilmente un contadino, terza elementare e via a lavorare nei campi, esattamente come era capitato al Caporale Aldo Bruni e alla sorella Amelia. Mi chiedo se Palmeroni Augusto facesse parte dello stesso plotone di Aldo, o se fosse un soldato della sua squadra. Forse lo ha visto morire, o forse era semplicemente uno dei soldati che dopo la battaglia raccolsero i corpi dei compagni morti per riconoscerli e seppellirli in una fossa. Comunque sia andata, la sua firma e quella del dottorino testimoniano l’avvenuta morte dell’unico erede maschio della famiglia Bruni.

santino Bruni Aldo

 

 

 

Chissà che fine hanno fatto entrambi, e come è stata la loro vita; quasi sicuramente entrambi sono sopravvissuti alla guerra, visto che dopo il giugno 1918 il 118° Reggimento non fu più coinvolto in altre azioni di guerra, ed era nelle retrovie durante la battaglia di Vittorio Veneto, atto finale della Grande Guerra.
A questo penso, mentre la 500 arranca per la salita ripida, e poi un’ultima curva e siamo arrivati. Ci sono già alcune macchine, parcheggiate nel grande pratone di fronte al Cippo della Brigata Sassari.
Esco dalla macchina e vado incontro ad Alessandro, il mio compagno del 170° corso Allievi Ufficiali di Complemento di tanti anni fa, che si è incaricato di organizzare la cerimonia di oggi. C’è la rappresentanza della mia sezione degli Alpini, Bassano del Grappa. Devo confessare che a Bassano forse ci sono passato due volte in tutta la mia vita, ma visto che Alessandro ed il gruppo di Bassano, col loro infinito senso di ospitalità, mi ospitano da anni sotto il tendone della sezione ad ogni Adunata degli Alpini, alla fine per gratitudine mi sono iscritto anche io.
Insieme camminiamo il centinaio di metri che ci separano dal monumento che siamo venuti ad inaugurare. Quando arriviamo in fronte al cippo, sono senza parole. È bellissimo.
Un masso, ed un elmetto Adrian uguale a quello in dotazione ai soldati di fanteria italiana della grande guerra scolpito su un lato. Per un momento immagino un soldato, fermatosi un attimo a riposare dopo la salita, che si toglie l’elmetto per asciugare il sudore dalla fronte e lo appoggia sul sasso. Chissà quante volte Aldo ha compiuto quel gesto.

Immagine2.png

Questa idea del cippo mi è venuta quasi dieci mesi fa, in una grigia e piovosa giornata di inizio ottobre 2017. Da poco più di un mese avevo creato la pagina di Facebook di Bruni Aldo Soldato, e mi trovavo sulle Dolomiti per qualche giorno di escursioni con il mio gruppo di amici più cari.
Complice una giornata di pioggia e la mia curiosità, finimmo per passare alcune ore ad esplorare i prati ed il bosco del Col del Rosso. I segni della guerra, nonostante i 100 anni trascorsi, erano evidenti: buche di granate, tracce di trincee e frammenti di schegge di granata ovunque. Lo stesso sconvolgimento di Verdun, della Somme e di tutti i campi di battaglia della Grande Guerra sparsi per l’Europa occidentale.
Lì, di fronte al cippo della Sassari, a pochi metri da dove era presumibilmente morto Aldo, mi dissi “perché no?”.
C’è un tocco di poesia nel dare una tomba ad un disperso.
Significa estrarlo dall’oblio del tempo e della memoria, prima che anche gli ultimi che lo ricordano cadano nell’oblio anch’essi.
Significa che tutti quelli che passeranno – e sono parecchi, visto che il cippo si trova di fianco ad un sentiero molto utilizzato dagli escursionisti – leggeranno la lapide e penseranno, anche per un breve istante, a questo ragazzo che non tornò a casa.
Qualche mese dopo quella giornata di pioggia, durante le vacanze di Natale, sono tornato ad Asiago a sciare. Ci vado da parecchi anni: adoro l’altopiano, ed adoro la piccola stazione sciistica dove i miei figli hanno imparato a sciare (grazie Asiagoneve), conosciamo tutti e non c’è mai molta gente sulle piste.
Chiacchierando sulla seggiovia del Verena con Mario Paganin, il direttore della scuola sci, gli accennai questa idea.
Detto e fatto, due giorni dopo Mario – la cui capacità organizzativa ha dell’incredibile – aveva già organizzato un incontro con uno scultore locale, Giannangelo Longhini, per discutere come concretizzare questa nebulosa idea.
Mario, da vero amico, si è occupato dei permessi, delle autorizzazioni, del trasporto del cippo fino alla cima del Col del Rosso e perfino di pagare la cena agli operai della cava di pietra dove lui e Gianangelo avevano trovato il sasso per la scultura. Senza di lui, senza il suo continuo interessamento e la sua energia, non saremmo mai riusciti ad essere qui oggi. Non ho parole per esprimere quanto gli sono grato.
Mentre penso a tutto ciò, la gente continua ad arrivare. La delegazione dell’associazione fanti, gli alpini dell’altopiano, gli altri fratelli del 170°, amici, conoscenti e molte persone che non ho mai visto, ma che in un modo o nell’altro hanno saputo. Arriva, con la sciarpa tricolore, Chiara Stefani, assessore alla cultura del comune di Asiago, in rappresentanza del sindaco Rigoni.
Con lei ed Alessandro ripassiamo i dettagli della cerimonia e, dopo aver coperto il cippo con un drappo tricolore, ci prepariamo a cominciare.
La cerimonia è semplice, accompagnata dalle istruzioni di attenti e riposo di Alessandro e dagli squilli di tromba del trombettiere. I discorsi sono semplici, toccanti, e vanno al cuore di molti dei presenti.

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Il momento dello scoprimento del monumento durante la cerimonia di inaugurazione sul Col del Rosso

Su questo colle, nel giugno 1918, sono morti migliaia di ragazzi.
Uccisi dal gas, dalle granate, dalle raffiche di mitragliatrici, durante i combattimenti corpo a corpo, nello spazio di poche centinaia di metri, su questo meraviglioso Colle che sotto i prati fioriti ed i boschi, ancora mostra i segni delle trincee e della violenza di quei giorni.
Erano ragazzi. Avevano voglia di vivere, avevano passioni ed avevano dei sogni. Per migliaia di loro, da entrambe le parti, quei sogni si interruppero brutalmente nel giugno 1918.
E per la breve durata di una cerimonia intima e delicata, decine di persone, 100 anni dopo, nello stesso punto, hanno ricordato attraverso Aldo Bruni tutti quei ragazzi che non sopravvissero a quell’incredibile macina di morte che fu la Grande Guerra.
Sono le sei e mezza quando anche gli ultimi iniziano ad andare verso valle.
Inizia a piovere, ma le nubi hanno ascoltato la mia preghiera, ed in segno di rispetto ci hanno girato attorno per tutta la cerimonia.

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Foto di gruppo all’inaugurazione del monumento a Col del Rosso

Prima di salire in macchina, mi giro un’ultima volta, e guardo il nostro sasso.
Immagino la Zia Amelia, dovunque essa sia, che mi sorride felice attraverso quelle lenti da fondo di bottiglia che sono inestricabilmente associate al mio ricordo di lei.
Riposa, Caporale Aldo Bruni, e che la terra ti sia lieve.

Famiglia Bruni - zia meglia in alto a DX e Aldo in in alto al centro - qualche anno prima del 1915
Foto di famiglia: Aldo Bruni è al centro, zia Amelia in alto a destra.

 

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