Storie di famiglia: il nonno di mio zio Teodorico Goacci, legionario fiumano

di Giacomo Bollini.

In sala da pranzo dei miei zii, da sempre, vicino al pianoforte, è appeso un piccolo quadretto che ritrae Gabriele D’Annunzio in posa. Si tratta di una foto originale con autografo e dedica. La mia curiosità verso questa foto è stata sempre molto forte: la storia che nasconde, difatti, è unica nel suo genere. Nella dedica, per di più sbagliata (ma si dice che D’Annunzio non fosse provetto a ricordare i nomi) è racchiusa tutta la vicenda storica del nonno di mio zio, Teodorico Goacci, malamente ricordato dal “Vate” come Bonacci al momento della firma.

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La foto ricordo di D’Annunzio, con autografo originale, appesa in sala dai miei zii. Evidente l’errore di scrittura: Bonacci invece di Goacci

Mio zio è nato a Fiume nel 1946. La sua famiglia si trasferì a Bologna che lui era poco più che in fasce. L’origine di questo ramo fiumano della famiglia, però, non ha radici estremamente profonde. A dare origine a questa migrazione verso Fiume della famiglia Goacci fu il nuovo impiego del padre di Teodorico, che trovò lavoro presso il silurificio Whitehead della città istriana. Questa nuova occasione lavorativa fece sì che la famiglia, il padre Cesare e la madre Rosina Moroni (legata da una parentela al compositore Pergolesi) e i loro 10 figli si trasferissero dalla natia Ancona a Fiume. Anche Teodorico era nato ad Ancona nel 1898 e naturalmente seguì il padre e la madre (che per di più era parente del compositore Pergolesi). L’adattamento alla vita e alla routine quotidiana a Fiume non fu semplice e l’accoglienza abbastanza fredda nonostante una forte componente italiana in città. Furono diverse le residenze occupate dalla famiglia Goacci che infine si trasferì a vivere nelle case destinate agli impiegati del silurificio in viale Italia.
Allo scoppio della Grande Guerra la famiglia venne letteralmente deportata in Austria-Ungheria: destino comune a tanti italiani residenti in Austria-Ungheria al momento della dichiarazione di guerra del Regno d’Italia al vecchio alleato imperiale. La destinazione della famiglia Goacci fu a Sankt Polten, dove esisteva un grande campo di raccolta per questi internati italiani “da sorvegliare”. Il trattamento per la famiglia non era malvagio. A favorire un occhio di riguardo fu proprio una caratteristica di Teodorico che già da diversi anni aveva cominciato a Fiume a giocare a calcio con un discreto successo. Al momento dell’internamento a Sankt Polten era stato notato da Hugo Meisl, una della maggiori personalità del calcio austroungarico, calciatore e poi allenatore, ed ideatore del famoso Wunderteam, la nazionale austriaca delle meraviglie degli anni ‘30. Meisl lo prese sotto la sua ala protettrice e lo fece entrare addirittura nel giro della nazionale austriaca del periodo di guerra, menomata dalle tante assenze per cause belliche. Teodorico addirittura giocò al Prater di Vienna indossando la maglia del Rapid Wien una partita amichevole contro l’MTK di Budapest, vinta 2-0 dai padroni di casa. Il trattamento privilegiato della famiglia era dovuto alla sua bravura calcistica. Di ruolo difensore, definito dai giornali come “terzino valanga”.

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Teodorico con la maglia dell’Olympia Fiume

Il suo “spirito gladiatorio” era molto apprezzato. Si ricorda ancora oggi in famiglia un aneddoto molto bello relativo a questa sua permanenza a Sankt Polten come calciatore. Una sera Teodorico si trovava a teatro con i suoi compagni di squadra (ovviamente a Sankt Polten era stato subito “ingaggiato dalla squadra locale, la Libertas) quando lo spettacolo venne interrotto per annunciare, fra il giubilo della folla, l’avvenuto sfondamento austro-tedesco a Caporetto. La platea impazzì di gioia e si stapparono bottiglie di vino. Lui, disperato, rimase a sedere con le mani fra i capelli e le lacrime agli occhi, venendo ovviamente subito notato ed aggredito. A proteggerlo furono i suoi compagni di squadra e l’allenatore che gli volevano bene e rispettavano il suo orgoglio da italiano che lui non aveva mai smesso di dimostrare nemmeno una volta.

Alla fine della guerra la famiglia decise di tornare a Fiume, quando ancora non era “scoppiato” il caso della città istriana. Teodorico, che per anni a Sankt Polten, era stato percorso da un fremito, dal desiderio di poter arruolarsi nel Regio Esercito italiano e dare il suo contributo alla guerra, decise di partecipare alla “impresa di Fiume” ‘dannunziana: desiderava con tutto il cuore l’annessione della sua città adottiva all’Italia. Fu tra i primi italiani di Fiume a mettersi al servizio di D’Annunzio ed evidentemente la sua personalità e la sua intraprendenza si fecero subito notare. Divenne una delle quattro guardie del corpo del poeta tanto che, anche in vecchiaia, amava ripetere con quel suo tipico accento veneto “Chi voleva andar dal comandante doveva passare sul mi corpo!” Ed era proprio vero: di notte lui e gli altri tre suoi compagni, letteralmente, dormivano fuori dalla porta della stanza di D’Annunzio, stesi per terra, a turno, pronti ad intervenire in caso di bisogno.
Una ricerca fra il materiale del Vittoriale, che conserva gli archivi della Repubblica del Quarnaro, ha dato risultati sorprendenti che confermano in tutto e per tutto la storia che da anni, in famiglia, si tramanda da bocca ad orecchio. Teodorico viene denunciato il 23 gennaio 1920 per non aver risposto alla chiamata alle armi del Regno d’Italia: a marzo risulta già inquadrato fra i miliziani fiumani, nella Compagnia Noferi. Nelle carte dell’Associazione Nazionale Combattenti, Ufficio Stralcio Milizie Fiumane, è chiaramente scritto il suo percorso all’interno delle milizie fiumane: dapprima arruolatosi nel “Sursum Corda”, in data 7 giugno 1919, passò poi al battaglione Barccich-Ipparco– Annibale Noferi, Polizia militare e addetto alla persona del comandante Gabriele D’Annunzio. Non aveva mentito. Il suo arruolamento nelle milizie fiumane è datato 12 settembre 1919! Molti dei suoi documenti sono sottoscritti da una firma eccellente del fiumanesimo: Giovanni Host Venturi.
Proprio durante il periodo della Reggenza su Fiume, Teodorico si sposò, giovanissimo. Al suo matrimonio con l’amica di infanzia Margherita Parenzan partecipò anche D’Annunzio che vergò sulla foto ricordo dello sposalizio un suo autografo accompagnato da un “Eia Eia!”. Pochi sanno che a Fiume, durante il periodo dell’occupazione dannunziana, si giocò molto a calcio. Il “vate” ne era molto appassionato e Teodorico non poteva che farsi notare anche in questo frangente. Lo stesso D’Annunzio, nell’intervallo dello storico match dell’8 febbraio 1920 fra la rappresentativa cittadina e il Comando militare dei Legionari, lo chiamò a sé, quale capitano della squadra e gli disse apertamente che, per il suo stacco superbo, pareva avesse “la testa di ferro”. Il 17 agosto 1919 fu in campo come capitano contro la Milanese, una delle partite ancora oggi ricordate dagli annali del calcio fiumano.

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La carriera calcistica di Teodorico Goacci

Alla fine dell’avventura dannunziana , ovviamente, Teodorico rimase nella sua Fiume, trovando impiego in ferrovia. Continuò, ovviamente, a giocare a calcio con i colori bianconeri dell’Olympia Fiume per diverse stagioni, fino al 1925.
La sua grande passione per lo sport non era ristretta al calcio: eccelleva anche nel canottaggio (con la società Eneo) e nell’atletica leggera dove si specializzò nel salto in lungo e nel triplo. A Fiume nacquero le sue due figlie, Laura e Verbena, tutt’ora viventi. Si ricorda che, nel 1943, dopo l’8 settembre, aiutò molti soldati italiani sbandati che tentavano di rientrare in Italia, fornendo loro tute da ferrovieri per poter dismettere la divisa grigioverde e passare inosservati ai numerosi controlli. Non aderì al fascismo, continuando la sua vita di tranquillo lavoratore e padre di famiglia. I “fasti animosi” della sua gioventù ormai erano alle spalle. Quando a fine guerra Fiume venne ceduta alla Jugoslavia, non volendo per la seconda volta nella sua vita vivere da estraneo in un paese straniero, trasferì tutta la famiglia, che oramai si era allargata, in Italia, raggiungendo prima uno dei fratelli, Omero, a Ferrara, e poi raggiungendo Bologna, dove aveva trovato nuovamente un impiego in ferrovia. La sua famiglia visse per breve tempo nel Villaggio dei Profughi Fiumani, trovando poi presto una sua sistemazione cittadina decorosa. Nonostante i tanti racconti “terrificanti” fatti dalla propaganda sul terribile trattamento riservato agli esuli fiumani a Bologna, nella famiglia Goacci non risulta alcun tipo di maltrattamento ai loro danni da parte dei loro nuovi concittadini bolognesi, anzi: la famiglia decise di fermarsi definitivamente nel capoluogo felsineo proprio per l’accoglienza dei bolognesi.
Oramai in pensione Teodorico a Bologna fece ancora per un po’ l’allenatore del settore giovanile di alcune squadre, fra cui l’Unione Sportiva Compressori Grazia-Secchiarapita. In vecchiaia il buon Teodorico fece ancora parlare di sé.

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Foto di Teodorico Goacci in età matura. Non si può non notare lo sguardo fiero ed il portamento elegante.

Il suo carattere profondamente buono in certe occasioni si infiammava di grande rabbia: una cosa non poteva sopportare, le ingiustizie e la prepotenza. Ancora oggi mio zio racconta con grande comicità alcuni episodi che videro protagonista l’ormai anziano nonno in quel di Bologna. Mio zio, il suo primo nipote maschio, era su questo il suo confidente. In almeno tre quattro occasioni il “nonno Rico”, come lo chiama ancora oggi mio zio, si rese protagonista di alcune risse dove, sebbene risultasse il più anziano fra i contendenti, uscì sempre come “vincitore”. Famosa rimane ancora una di queste risse: mentre stava attraversando la strada in piazza dei Martiri, a Bologna, lentamente, come poteva fare un 75enne, una macchina si avvicinò di gran carriera all’attraversamento pedonale suonando il clacson come per incitare quel “vecchio” a sbrigarsi ad attraversare. Teodorico con un tipco gesto della mano, mandò a quel paese l’autista che, infuriato, scese dalla macchina per “sistemare” quell’anziano così “impertinente” e che gli stava facendo perdere tempo. Fu in quel momento che il fisico del vecchio sportivo e dell’ex legionario fiumano tornò quello di 50 anni prima: raggiunto l’autista allo sportello Teodorico evitò un pugno direttogli al volto, sganciando poi un potente “uppercut” sotto il mento del malcapitato,. L’episodio si ripeté del tutto simile per uno spintone su un autobus e per un altro attraversamento pedonale “troppo lento”. Inutile dire che, messi giù su carta, questi racconti non rendono al meglio: mio zio, che ancora oggi mantiene la cadenza nel parlare veneto, la racconta riportando ancora le parole del nonno, con la stessa parlata, rendendo questi racconti a dir poco comicamente irresistibili. A condire uno di questi episodi c’è pure un lieto fine. Il buon Teodorico, una volta, fu fermato per la strada da una giovane ragazza che iniziò a ringraziarlo: si trattava di una delle fidanzate dei “prepotenti” da lui malmenati che, solo grazie alla lezione impartitagli da quell’”anziano giustiziere” aveva preso il coraggio di lasciare il compagno che da anni si era dimostrato violento anche nei suoi stessi confronti.
Un infarto fulminante lo portò via all’affetto dei suoi cari nell’estate del 1977, all’età di 79 anni.

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