E come la chiamiamo questa bambina? Valbella, Vertoiba o Tolmina?

di Giacomo Bollini

Un recente post ironico su uno dei tanti gruppi faceti presenti su Facebook è stato spunto per questo breve articoletto.  Il post chiedeva agli iscritti alla pagina di dichiarare quali fossero i nomi più strambi mai incontrati. In un susseguirsi di nomi da barzelletta appariva, fra i tanti, quello di una signora di nome Vertoiba, scovato da una ex scrutatrice ad un seggio elettorale, diversi anni fa. Per quanto possa apparire strano, il nome Vertoiba evoca, in chi si occupa di fatti riguardanti il Primo conflitto mondiale, un ricordo ben preciso. Le poche case che componevano (e che compongono ancora) il piccolo abitato di Vertoiba si trovavano alla periferia a sud est di Gorizia, piccola frazione del comune di San Pietro. Qui, nella parte più occidentale della valle del fiume Vipacco, nei pressi di uno dei suoi piccoli affluenti, il torrente Vertoibizza, si combatté duramente durante la Grande Guerra, subito dopo la presa di Gorizia nell’agosto 1916. Siamo ai piedi dell’altipiano carsico, che si erge a sud. Qui si impantanò l’avanzata italiana dopo l’illusione di uno sfondamento a seguito, per l’appunto, della presa di Gorizia. Qui, fra il fango, combatterono e languirono, per oltre un anno, migliaia di soldati italiani e austriaci. Dominati dalle alture circostanti, con l’acqua fino al ginocchio, erano pochi i fortunati che riuscivano a sopravvivere a questo inferno. Vertoiba era un posto infame davvero: molte croci popolavano i tanti cimiteri di guerra delle primissime retrovie di questo tratto di fronte: erano talmente tanti qui i cimiteri che, oggigiorno, la frazione di Vertoiba si chiama “Vertoiba in Campi Santi”. Perché mai, quindi, chiamare una persona con il nome di un posto talmente terribile? A tutti gli effetti non era inusuale trovare persone, nate negli anni della Grande Guerra o in quelli subito successivi, con nomi che ricordano dei toponimi dei luoghi della Grande Guerra. Si trattava probabilmente di voti religiosi fatti dai soldati: se fossero sopravvissuti avrebbero chiamato il proprio figlio con il nome del posto dove avevano ricevuto la grazia di sopravvivere durante la guerra. La signora Vertoiba citata dal post, probabilmente, era la figlia di un reduce delle brigate che, per mesi, combatterono fra il fango di quell’infame posizione. Non si tratta certamente di un caso isolato. Per quanto sia una particolarità poco studiata, esistono ricordi famigliari in varie famiglie italiane che riportano storie come quella della signora Vertoiba. Una rapida indagine in famiglia, fra i ricordi, nei libri, ed ecco apparire in breve altri uomini e donne con nomi legati a luoghi della Grande Guerra. Basti citare, tanto per fare un esempio, è quello di Tolmina Guazzaloca, classe 1916, partigiana bolognese, classe 1916, autrice di un libro di memorie sulla propria esperienza di staffetta. Il suo nome, palesemente, racconta la storia di un reduce di Tolmino, la terribile testa di ponte oltre l’Isonzo che resistette, per tutta la durata della guerra, agli assalti degli italiani e dalla quale partì la controffensiva austro-tedesca che sfociò nello sfondamento di Caporetto. Nel suo libro, la Guazzaloca riporta in poche righe l’origine del suo nome, confermando questa tesi: “Nacqui il 5 settembre 1916 ed i miei genitori andarono ad Anzola, a fissare l’appuntamento per battezzarmi. Si trovarono in chiesa con la santola, che era mia cugina Marina, e quando mio padre pronunciò il nome che avrebbe voluto darmi, Tolmina, il prete, Don Giovanni, si contrariò immediatamente. Già in occasione dei battesimi dei miei fratelli, avevano trovato da dire per il fatto che i nomi scelti non comparivano tra quelli del calendario. […] Il mio nome era stato scelto per ricordare un cugino di papà che, richiamato in guerra nel 1915, gli aveva scritto una lettera: – Sono sul fronte che combatto gli austriaci con tutte le mie forze, ma sento che ci lascerò la vita. So che tua moglie aspetta un figlio, quando nascerà, se ti vorrai ricordare di me, battezzalo Tolmina o Tolmino, questo è il mio desiderio -. Dopo qualche giorno dall’arrivo di quella lettera, giunse la notizia della sua morte, insieme al portafoglio con dentro i documenti personali”. Ecco quindi un’altra motivazione per questi nomi così strani: il ricordo del luogo di morte di un parente o un amico. Tolmina Guazzaloca portava il nome del luogo in cui era caduto un cugino del padre: la terribile testa di ponte di Tolmino, con i suoi monti Santa Lucia e Santa Maria (Mengore), due invalicabili colonne d’Ercole che resistettero per tutta la guerra sull’Isonzo agli assalti italiani.

In un remoto ramo della mia stessa famiglia si ricorda di un “nonno” di nome Quero, così chiamato dal padre in ricordo della terribile battaglia dell’omonima stretta, alle pendici orientali del monte Grappa, dove, sul finire del 1917, si combatté uno scontro durissimo durante le fasi finali della terribili battaglia d’arresto: se Quero non avesse resistito sarebbe stato in pericolo l’intero schieramento italiano sulla nuova linea del fronte che si snodava, in quel tratto, sul monte Monfenera e sul Monte Tomba. Per coprire la stretta di Quero si sacrificò, in giorni e giorni di scontri, la brigata Como. Purtroppo la memoria storica di questo combattente è andata perduta: rimane traccia della sua esperienza di guerra nel nome che egli dette al figlio.

Un’altra bella storia che riporta alla memoria un atto eroico dimenticato, rivive nel nome dato dall’ardito Oronzo Federico ad una delle sue figlie femmine: Valbella. Sul Monte Valbella il sergente Federico, appartenente al II reparto d’assalto, con un tipico colpo di mano degli arditi, compì un atto di valore che lo portò alla cattura di diversi soldati austriaci. Ferito alla testa non riuscì a tornare alle proprie linee alla testa della colonna dei prigionieri. Ironia della sorta, la medaglia d’argento promessagli sul campo dal proprio superiore nei primissimi momenti a seguito della fine dell’attacco, fu assegnata invece ad un altro sottufficiale che ebbe la fortuna di trovarsi invece come più alto in grado fra coloro i quali riportarono dietro le linee italiane i prigionieri austro-ungarici e le armi catturate al nemico. Nonostante le reiterate proteste di Federico, la medaglia non gli venne mai assegnata. Colmò quell’ingiustizia dando il nome di quel luogo, per lui così simbolico e importante, ad una delle sue figlie, in ricordo di quell’atto eroico dimenticato.

Oltre all’altisonante nome di “Italia”, spesso dato a piccole bimbe a seguito di uno slancio patriottico, si contano anche diverse “Gorizia” e “Gradisca”. In maniera molto più profana, molti reduci o parenti di reduci e caduti, diedero nomi che richiamavano luoghi della Grande Guerra a villini, case, ristoranti, bar, stabilimenti balneari. Un esempio su tutti la famosissima pizzeria napoletana Gorizia 1916. Recita la voce “chi siamo” sul sito di questa nota pizzeria: “E’ il 10 maggio 1916 quando, in un Vomero che è ancora una distesa di terreni coltivati a broccoli, un giovanissimo Salvatore Grasso apre per la prima volta le porte di un’attività che, negli anni, diventerà un’istituzione nel panorama della pizza Napoletana. Appena rientrato dal fronte, Salvatore, che prima di partire era già un acclamato pizzaiolo presso la pizzeria Mattozzi, decide di mettersi in proprio con sua moglie Anna in un quartiere che di lì a poco avrebbe conosciuto un’enorme espansione, il Vomero. Rileva quindi un antico locale, lo chiama “Gorizia” in onore dei suoi commilitoni che in quei giorni entravano nella città di Gorizia, e per ben 9 anni rimane l’unica attività di ristorazione della zona”.

Gorizia fu, senza alcun dubbio, uno dei nomi femminili per bambine appena nate legati alla Grande Guerra più diffusi dell’epoca. Un po’ come avvenne nel 1896, questa volta per un’amara sconfitta, con la battaglia di Adua. Molte bambine nate a fine ‘800 ebbero questo nome per ricordare un parente morto in quella terribile battaglia. Un’usanza che si ripropose poi negli anni ’30, quando invece ad Adua si combatté una battaglia vittoriosa durante la Guerra d’Etiopia che venne, ovviamente, additata dal regime come la rivincita della rovinosa sconfitta di 40 anni prima.

Degna conclusione di questo breve excursus sui nomi di persona che provengono dalla memoria storica popolare della Grande Guerra è un aneddoto piuttosto famoso. Come è noto, alla fine della battaglia di Vittorio Veneto, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, il generale Armando Diaz, scrisse e diffuse il famoso “Bollettino della Vittoria”. Molte trasposizioni su carta, o su lapide del Bollettino riportavano in calce anche la firma del generale Diaz, spesso anteposto dal participio passato del verbo firmare: “firmato”. In breve si diffuse la falsa credenza che quel “Firmato” non fosse altro che il nome di battesimo del generalissimo vittorioso. Furono svariati i casi di bambini battezzati con questo singolare nome, “Firmato”, frutto di questo simpatico equivoco.

Nomi di persona e toponomastica della Grande Guerra…

Purtroppo si tratta di un campo inesplorato ma che meriterebbe un po’ più di attenzione. Ancora una volta la storia del nostro paese, ove non è entrata direttamente dalla porta principale, ha scelto vie sotterranee per affiorare, anche nell’intimità di una famiglia, nei nomi propri dei componenti stessi del suo nucleo.

E voi, conoscete altri nomi di persona che sono legati alla memoria storica e popolare della Grande Guerra? Sarebbe bello farne un piccolo censimento…

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