Pochi sanno che in Certosa a Bologna sono sepolti entrambi i padri del primo prototipo della maschera antigas italiana data in dotazione ai soldati durante la Grande Guerra. Trattasi della famosa maschera Ciamician-Pesci, meglio nota come tampone. Conosciuta in particolar modo dai collezionisti e dagli storici specialisti sulle armi chimiche del Primo Conflitto Mondiale, questa maschera fu la prima vera e propria dotazione antigas fornita ai soldati del Regio Esercito.
I due chimici che brevettarono questo tampone si chiamavano Giacomo Ciamician e Leone Pesci. Facevano parte della Commissione torinese per lo studio dei gas asfissianti e dei mezzi di difesa. Questo gruppo di lavoro non aveva effettivamente perso tempo. Appena cinque giorni dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia si era riunito per dare vita ad uno studio che portasse alla realizzazione della prima difesa antigas italiana: una protezione sia per gli occhi che per le vie respiratorie. Il primo prodotto vero e proprio brevettato da questo gruppo di chimici, ed in particolare da Ciamician e Pesci, fu un prototipo le cui caratteristiche si possono brevemente riassumere: era formata da 10 strati di garza cuciti tra loro in modo da creare una tasca in cui veniva inserita una faldina impregnata con una soluzione acquosa di carbonato di sodio, carbonato di potassio e iposolfito di sodio. La dotazione prevedeva una faldina di ricambio e un boccettino contenente altra soluzione neutralizzante. Gli occhi erano protetti da un paio di occhialini protettivi staccati dal corpo della maschera. Indossata con fiducia dai soldati per mesi, durante gli svariati allarmi gas lanciati lungo tutto il fronte, purtroppo, era efficace solo contro il cloro, a patto di non rimanere esposti alla sostanza per più di un’ora. Si trattava, a tutti gli effetti, della maschera che le migliaia di uomini delle brigate Ferrara, Brescia, Regina e Pisa indossarono la fatidica alba del 29 giugno 1916, giorno del mortale attacco col gas fosgene lanciato dagli austro-ungarici sul Monte San Michele, sul Basso Isonzo.
Fu quindi, ben presto abbandonata e sostituita da altre maschere.
Non si poteva certo imputare nulla ai due chimici che la brevettarono. La tecnologia, applicata all’”arte del massacro” correva spedita, pronta a sopravanzare e a rendere inutili ed obsolete le protezioni antigas esistenti.
Meritano un piccolo approfondimento le biografie di questi due chimici, sepolti a Bologna, che, comunque, meritano un loro posto all’interno della storia della Grande Guerra italiana. Entrambi legarono la loro vita e la loro attività al capoluogo felsineo.
Bolognese d’hoc, Leone Pesci era nato ad Osteria Grande il 29 gennaio 1852. Figlio di contadini che erano riusciti col tempo e con investimenti azzeccati a far su una piccola fortuna, era vissuto comunque in un ambiente in cui aveva imparato l’arte della fatica e del sacrificio. Il padre fu per lungo tempo consigliere comunale e poi sindaco per 24 anni del paese di Ozzano dell’Emilia, paesino della parte orientale della provincia di Bologna. In casa si professavano ideali patriottici, tanto che il giovane Leone, nel 1866, a soli 14 anni, si offrì volontario, venendo respinto, per arruolarsi nel neo-nato Regio Esercito che si accingeva a combattere la Terza Guerra d’Indipendenza. Completati gli studi universitari a Bologna, specializzandosi in chimica, nel quale fu maestro di Pesci l’illustre Francesco Selmi, si aprirono per lui, ben presto, le porte dell’insegnamento. Dapprima a Ravenna, poi a Livorno, presso la Regia Accademia Navale, ottenne poi la libera docenza in chimica generale presso svariate università italiane. La prima cattedra su cui si sedette fu quella dell’Università di Parma. Dopo breve tempo fu promosso professore ordinario e poi, nel 1902, addirittura, rettore. Nel 1909, la prospettiva di appropriarsi della cattedra che fu del suo maestro Selmi, e di ritornare nella natia Bologna, lo spinsero a rinunciare al rinnovo del rettorato di Parma e ad accettare di insegnare a Bologna. Anche qui, ben presto, venne proposto per il rettorato in sostituzione del professor Vittorio Puntoni nel 1911. Pesci si ritrovò quindi a ricoprire questa augusta carica allo scoppio della Grande Guerra. Il suo rettorato fu contraddistinto da un profondo ammodernamento soprattutto dei locali e delle strutture universitarie dell’ateneo bolognese, ma soprattutto di una politica alquanto permissiva ed aperta nei confronti degli studenti in procinto o già indossanti la divisa grigioverde. Permise iscrizioni in ritardo senza more sulle tasse universitarie, diede congedi fuori termine, esornerò o sospese dal pagamento delle tasse i più bisognosi, fece aprire sessioni straordinarie di esami per agevolare i giovani nello studio e nella richiesta delle licenze, ma soprattutto per accelerare la nomina di nuovi ufficiali medici di cui al fronte c’era estremo bisogno. Fu sempre, poi, in prima fila, nella celebrazione degli studenti caduti, a partire dal primo, illustre caduto, dell’Università di Bologna, la medaglia d’oro Decio Raggi.
In contemporanea a queste attività accademiche, come già accennato, fu attivo nella Commissione che studiava gli offensivi chimici e la difesa contro di essi. In questo gruppo di lavoro, oltre a lui e a Ciamician, sedevano illustri chimici italiani come Peternò, Peratoner e Piutti. Il suo ruolo all’interno di questa commissione non era puramente un lavoro da cattedra. Nonostante non fosse certo più giovane, Pesci si esponeva personalmente allo studio dei gas e delle maschere antigas. Fu la continuata esposizione a questi offensivi chimici che lo portò ad una morte improvvisa e dolorosa, avvenuta il 22 gennaio 1917, ad una settimana dal suo 65esimo compleanno. Già da diverse settimane accusava dolori al petto, respiro faticoso e perdita dell’udito.
Anche la storia di Giacomo Ciamician è di tutto interesse. Nato a Trieste il 27 agosto 1857, proveniva da una famiglia dalla lontana origine armena. Formatosi nell’università viennese, paradossalmente, finì per ideare difese antigas contro offensivi chimici che, probabilmente, vennero sperimentati da suoi antichi compagni di studio al servizio dell’esercito austriaco. Durante il periodo giovanile viennese pubblicò analisi sugli spettri di numerosi elementi chimici, le sue ricerche di quell’epoca furono notate e citate da Dmitrij Ivanovič Mendeleev, il grande chimico russo noto ancora oggi in tutto il mondo (sì, proprio quello dei piselli gialli, verdi, lisci e rugosi che tutti noi abbiamo studiato fin dalle scuole medie!). Il suo percorso di studi lo portò a trasferirsi in Italia dove divenne Assistente di Stanislao Cannizzaro insieme a Augusto Piccini a Roma. Nel 1887 divenne professore di chimica dapprima all’Università di Padova e dal 1889 presso l’Università di Bologna dove rimase fino alla morte. Dal 1898 fu socio dell’Accademia nazionale delle scienze. Nel 1910 divenne il primo triestino ad essere nominato senatore del Regno d’Italia nella XXIII Legislatura.
Dopo la sua morte gli venne dedicato il Dipartimento di Chimica della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Bologna.
Due figli di Bologna (uno certamente adottivo) che dettero il proprio contributo alla storia della Grande Guerra italiana.





